di Assunta Zaffino
Prima di tutto bisogna precisare cosa significa essere buoni. In psicologia viene definita prosocialità la tendenza a mettere in atto comportamenti mirati ad ottenere effetti positivi e benefici su altre persone. Quando parliamo di prosocialità facciamo riferimento a diversi aspetti relativi all’aiutare, al prendersi cura, al condividere, al cooperare, al sentirsi solidali. E’ un insieme di diversi comportamenti guidati da motivazioni anche molto diverse tra loro e possono tradursi concretamente in aiuto fisico, sostegno verbale, ascolto. Ma attenzione la prosocialità non è sinonimo di altruismo. Quest’ultimo se viene amplificato può diventare un vero e proprio disturbo, motivato dal desiderare il bene degli altri anche a discapito del proprio interesse personale e prevede “un costo” per chi lo mette in atto, a differenza della prosocialità che non è spinta solo da intenzioni altruistiche, infatti, una persona può agire in maniera prosociale perché comporta in lui una soddisfazione personale. Le ultime ricerche affermano che per natura l’essere umano è portato ad avere comportamenti cooperativi per favorire il benessere degli altri, ma ciò non vale per chi nasce con una dose di empatia bassa o nulla. L’empatia è un elemento necessario per il comportamento prosociale, ma non sufficiente, deve coesistere anche la consapevolezza delle proprie capacità, l’autoregolazione, l’apprendimento sociale e i valori personali. Nei primi anni di vita ciascuno di noi non era consapevole delle norme che regolavano la vita sociale e le azioni venivano dettate dall’esterno. Quante volte da piccoli abbiamo prestato aiuto, solo per un obbedienza nei riguardi delle figure autoritarie come genitori o maestri per paura di ricevere una punizione? Non si nasce cattivi, sono l’educazione dei genitori e l’ambiente familiare in cui si vive a determinare il comportamento che si metterà in atto con i propri coetanei e con tutte le persone con le quali si relazionerà. Generalmente, tendiamo a collocarci dalla parte dei buoni e a pensare che non saremmo mai capaci di certe malvagità ma le scelte di un individuo non sono dettate dall’istinto, piuttosto dalla storia personale, dalle esperienze e dai traumi vissuti, dalle influenze familiari e dal temperamento di ognuno. Decidere di mettere in atto un comportamento piuttosto che il suo contrario dipende sempre da un giudizio culturale su cosa pensiamo sia bene o sia male. Buoni o cattivi è solo uno schema che semplifica la nostra visione del mondo, essere “buono” generalmente è una qualità positiva ma come citato prima può diventare un problema se si sente il bisogno costante di far piacere agli altri a scapito dei propri bisogni e desideri, rischiando di sottomettersi al volere altrui. Mentre un individuo “cattivo” prova frustrazione quando non ottiene ciò che desidera, vivendo nel costante pensiero che tutto gli sia dovuto. Il confine tra buono e cattivo è molto complesso, articolato e anche contraddittorio negli esseri umani, decidiamo quale comportamento mettere in atto in base alla situazione, al tempo che sta vivendo la persona e agli individui con cui si trova a relazionarsi.
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Dott.ssa Assunta Zaffino
Psicologo Clinico e Giuridico