di Assunta Zaffino
La compassione è un sentimento che determina una serie di emozioni che spingono l’individuo verso l’altro in quanto prova pena della sua condizione o del suo stato, vorrebbe far qualcosa e cerca qualsiasi soluzione per concretizzarla. Il termine compassione viene spesso affiancato a quello di saggezza, cioè vivere in armonia piuttosto che in continua lotta con se stessi o con gli altri. E’ uno stato mentale che invoca l’altruismo e lo fa agire, lo smuove e lo sprona a cercare di cambiare le condizioni dell’altro che si trova in uno stato di disagio. La compassione ha tre componenti principali: emozionale, ovvero un’emozione che si presenta quando vediamo qualcuno che soffre e genera una forte reazione nel sistema cerebrale collegato al benessere; cognitiva, che implica il prestare attenzione alla sofferenza degli altri, riflettendo su quale modo intervenire e comportamentale, ovvero impegnarsi in modo consapevole per fare qualcosa che allevi la sofferenza di quella persona. Come l’empatia è la capacità di sentire l’altro, così la “passione” è la capacità di commuoversi per l’altro. Nello specifico, l’empatia è la capacità che ci permette di “metterci nei panni dell’altro” e arrivare a sperimentare i suoi sentimenti o stati emotivi, infatti il nostro cervello è in grado di essere empatico grazie ai neuroni specchio. Tuttavia, la compassione è uno stadio più alto perché implica un livello di compromesso consapevole per alleviare il dolore o la sofferenza degli altri. Molte persone la confondono con la pietà, in realtà è davvero una capacità molto complessa, che richiede un’elevata sensibilità verso il prossimo. Infatti se ne preoccupano, se ne prendono cura e si rendono disponibili sempre nei limiti delle loro possibilità. La compassione è molto più profonda della pietà, in essa si cela la paura e porta in sé un senso di arroganza e condiscendenza compiaciuta, essere compassionevoli invece significa avere la piena consapevolezza che tutti gli esseri sono uguali e nessuno è superiore ad alcuno. Sebbene ci siano dei benefici nell’essere compassionevoli non è sempre semplice esserlo. Stare emotivamente nel dolore altrui attiva la nostra risposta allo stress (lotta o fuga). Ci vuole del lavoro emotivo per stare con il dolore di una persona piuttosto che fuggire o cercare di negarlo in qualche modo (ad esempio incolpando la persona per la sua angoscia). Quando vediamo che una persona riesce a stare con il nostro dolore, siamo più capaci di sopportare il nostro stesso disagio. Connettersi con gli altri in modo significativo aiuta ad avere una migliore salute mentale e addirittura permette di recuperarsi più velocemente dagli eventi spiacevoli, poiché la compassione crea uno stato di benessere positivo, una serena felicità che ha enormi ripercussioni sia a livello fisico che psicologico per il semplice fatto che l’atto di dare da più piacere che ricevere. L’essere compassionevoli ha un effetto radiante perché porta ad estendere la gentilezza e il perdono verso gli e agli altri, anche nei confronti di chi ha ferito intenzionalmente. Un famoso scrittore sosteneva che: “Compassione e pietà sono assai differenti. Mentre la compassione riflette l’anelito del cuore a immedesimarsi e soffrire con l’altro, la pietà è una serie controllata di pensieri intesi ad assicurarci il distacco da chi soffre”.
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Dott.ssa Assunta Zaffino
Psicologo Clinico e Giuridico