di Vincenzo D’Amato

Amore malato, amore come proiezione delle proprie insicurezze nell’altro, come forma di compensazione o in sostituzione di altro.

Amore che non è più amore ma dipendenza da qualcosa o qualcuno, all’interno di una relazione.

Nella fase iniziale di una relazione è chiaro che la voglia dell’altro e di quanto questo possa dare appagando una propria esigenza può essere normale, ma creandosi stabilità nel rapporto dovrebbe arrivare l’indipendenza, una relazione crea quindi appagamento migliorando il proprio stato psico-fisico pur mantenendo i propri spazi e la propria personalità.

A volte però non va così, e la relazione diventa un mezzo per dare sfogo ad altre problematiche, nella maggior parte dei casi inconsce.

Le principali cause sono da ricercare nel periodo dell’attaccamento, in cui la figura del caregiver può davvero creare le basi per un futuro sano, per il corretto sviluppo della propria autostima o innescare meccanismi deleteri e devastanti andando avanti negli anni.

Un genitore che in questa delicata fase dello sviluppo è presente ed amorevole, fa sentire il proprio figlio desiderato, amato e soprattutto importante. Questo genererà per il futuro adulto un carattere forte, completo e dotato di una buona indipendenza avendo dentro tutto ciò di cui ha bisogno, che si è creato nel tempo.

Quando invece manca quella figura, del tutto o in parte, o ancora, pur essendoci, trascura alcuni aspetti del prendersi cura, si vanno a creare dei vuoti dati dalle domande che il bambino seppur inconsciamente in quella fase si pone ed alle quali può associare risposte destrutturanti.

Queste risposte formeranno il carattere e torneranno costantemente come un loop che rafforzerà negativamente le proprie convinzioni. Il significato di un gesto per un neonato è sicuramente diverso da ciò che un adulto può immaginare, per cui bisogna entrare nel mondo del piccolo e dare risposte positive alle sue esigenze che fanno nascere domande.

Un minuto lontano dalle braccia della mamma per un neonato è uguale ad un abbandono, che se protratto nel tempo crea l’affermazione “i miei genitori non mi amano, non merito amore, non valgo”.

In questo modo si sta minando la sua autostima e si sta creando un vuoto che necessiterà di una compensazione, che alla prima occasione, ovvero con l’innamoramento, andrà ad operare, legandosi in modo morboso all’altro fino al punto di non poterne fare più a meno.

Durante gli anni, si continua a lavorare sulla sua evoluzione con l’educazione, la cultura, le religioni, e si possono creare enormi danni. Lodare in modo appropriato i piccoli traguardi, senza esagerare ma non trascurandoli, può rafforzare l’autostima che si costruisce mattone dopo mattone durante le varie fasi di crescita. Se contrariamente dovesse venir meno questo meccanismo di premiazione, con l’applicazione di una troppo alta pretesa, religioni castranti mirate a non valorizzare il potenziale ma a sottomettere o a regole troppo rigide nel corso del percorso educativo, potrebbe svilupparsi una perdita di autostima che porterà nel tempo ad aggrapparsi alla relazione, unica prova di valore per il proprio se, fino al punto in cui la propria esistenza dipende dalla relazione stessa. Il partner diventa l’unica ragione di vita fino all’ossessione.

Si innesca quindi un meccanismo di sottomissione, auto-lesivo, dove la convinzione è “valgo solo se ho la sua ammirazione” per cui fa di tutto pur di riceverla, per un complimento o un piccolo gesto, che se dovesse mancare fa partire vere e proprie crisi di identità che possono sfociare in disturbi della personalità, attacchi di ansia e disturbi quali l’anoressia o la bulimia come compensazione alternativa o come tecnica per attrarre l’attenzione per mantenere in vita il rapporto.

Talvolta però il problema non riguarda un unico attore nella relazione di coppia, e le cause della dipendenza possono derivare dal rapporto di coppia stesso, dove in contrapposizione al dipendente c’è un soggetto che vive altre problematiche, quali potrebbero essere una personalità narcisistica o violenta che si reitera ogni qualvolta il soggetto dipendente prova a chiedere più attenzioni. Sono poi questi i casi da cui provengono gli eventi di cronaca nera di cui spesso si sente parlare.

Sta di fatto che la dipendenza affettiva si per sé non è la patologia ma una sintomatologia di un altro malessere, che può essere quindi un disturbo di personalità, e dipendere quindi dall’altro per una propria carenza che viene così compensata o per rafforzare un proprio atteggiamento come nel caso in cui il narcisista sia proprio il dipendente.

Va quindi analizzato ed inquadrato il caso specifico attraverso una serie di indicatori.

Venir fuori da una dipendenza affettiva, come per ogni altra forma di dipendenza, significa riuscire ad attingere a quelle risorse interiori che possono permettere al soggetto dipendente di modificarne le cause andando all’origine, migliorare le potenzialità attuali, strutturare un se più forte ed una autostima solida.

L’ipnosi può essere il mezzo per velocizzare questo processo, sia di ricerca delle cause attraverso la regressione, arrivando in modo rapido a momenti ancorati in età neonatale o adolescenziale, sia di risoluzione della problematica, attraverso un percorso volta a far collassare gli ancoraggi scatenanti ed a rafforzare le potenzialità latenti e l’autostima, ridando al soggetto l’indipendenza di cui ha bisogno.